Sabato, 07 Giugno 2014 14:02

La riemergenza di una corrente carsica nella storia della chiesa. La povertà

Scritto da  Gerardo

Nel seguito, diamo un’anticipazione dell’editoriale di Arnaldo Nesti, per il n. 79 di Religioni e società, maggio-agosto, in uscita dopo l’estate.






La riemergenza di una corrente carsica nella storia della chiesa: la povertà
di Arnaldo Nesti

La nuova stagione aperta da Papa Francesco, in vari modi e a titoli diversi ripropone la prioritaria connessione fra concilio vaticano II, il futuro della Chiesa ed in modo più preciso fra povertà e chiesa-chiese.
Riflettendo in vista della preparazione di questo numero di R&S ho avuto l’opportunità di salire a Barbiana e di recarmi direttamente nel cimitero di Barbiana, sulla tomba di don Lorenzo Milani.
Ritrovandomi in quei luoghi dove ero stato nel passato giugno 1967 in occasione dei funerali di don Lorenzo, sono stato sommerso da mille emozioni e pensieri riandando alla singolare vicenda, legata a questa parrocchia da tempo in via di soppressione nei pressi di Vicchio nel Mugello, alle pendici del Monte Giovi, dove Lorenzo Milani giunse il 6 dicembre 1954. Si trattava di una località posta con qualche casolare «su una collina abitata soltanto dal vento» (Balducci). Contava circa 100 persone distribuite tra campi e boschi, senza strade né elettricità, da dove la residua popolazione tendeva a trasferirsi in pianura. Per don Milani fu un esilio che accettò con quella che più tardi definirà «ribellione obbedientissima» (Fallaci). Con il suo tipico, diretto, linguaggio don Lorenzo scrisse di aver accolto «nonostante fosse palese a chiunque che vi ero “confinato come finocchio e demagogo ereticheggiante e forse anche confesso visto che non avevo reagito» (“Lettere alla mamma”, 1973, n. 84. Milani accompagnò la svolta con una forte decisione simbolica, presa il secondo giorno a Barbiana: l’acquisto della sua tomba in quella terra. Sostando sulla tomba sono riandato, con la mente, ai tempi di Calenzano dove scrive “Esperienze pastorali”, un’opera di amplissimo respiro, con il valore e il limite di trarre con rigore conclusioni generali dall’analisi di una situazione locale. “Esperienze pastorali”, pubblicato nel 1958, quando era a Barbiana da quattro anni rappresenta, comunque, una meditazione radicale sugli errori della Chiesa italiana, ma anche una approfondita ricerca sui contenuti della fede del suo popolo. La presenza di una religiosità consuetudinaria, ormai residuo di una civiltà contadina e di una cristianità che si era dissolta, si risolve in un ossequio solo formale agli obblighi cultuali che Milani accusa di «incoerenza» e ritiene privo di ogni reale valore cristiano.
Nella sua analisi nega che la «scristianizzazione» potesse essere dovuta al comunismo, contro il quale tanta parte della Chiesa italiana si era mobilitata:
«Cos’ha di cristiano una fede che osserva il rito (e non tutto) e poi fuori di quello non vuol essere turbata in nulla? […] Hanno votato per il comunismo. E i preti sono cascati dalle nuvole. È parso loro un mostro improvviso, imprevedibile, inspiegabile. […] Era da secoli che il loro cuore si rifiutava a qualsiasi intervento del Cristo e della Chiesa nella loro vita»
Per Don Milani la Chiesa in realtà non aveva saputo cogliere le ragioni profonde dei mutamenti e non si era schierata in difesa di più deboli: «I contadini […] hanno intuito prima di noi l’inconsistenza cristiana dell’attuale ordinamento sociale. Quando hanno aperto gli occhi non ci hanno trovato schierati alla difesa della loro conculcata dignità umana. Hanno allora perso ogni fiducia nell’insegnamento del prete».
I suoi giudizi sulle responsabilità politiche e pastorali della Chiesa avevano trovato qualche isolata comprensione, come quella di La Pira, che era stato tramite con Mons. D’Avack, vescovo di Camerino, che aveva scritto la prefazione... La consapevolezza dei costi religiosi ed ecclesiali di una così ampia politicizzazione della vita religiosa era condivisa anche dal cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, che aveva cercato di applicare in modo ‘misericordioso’ la scomunica ai comunisti, prevedendone il costo per le fratture ecclesiali, e che, pur con modalità che non sono del tutto chiarite, aveva concesso l’imprimatur al volume. Ma questa consapevolezza non era condivisa nella gerarchia cattolica italiana e dopo poco il volume veniva ritirato dal commercio per richiesta del Sant’Uffizio, che faceva anche pubblicare una censura su «L’Osservatore romano».
Le considerazioni contenute in Esperienze pastorali sono all’origine di quel «classismo anticlassista», come è stata felicemente descritta la sua posizione, con lo schierarsi dalla parte dei poveri, come prete e maestro, per dare ai poveri la parola, il possesso pieno della lingua, quale condizione per avere strumenti e voce per incidere, per cambiare la realtà, ma anche per una consapevole adesione alla proposta evangelica. Questo era stato il significato della scuola popolare di S. Donato a Calenzano, aperta a cattolici e comunisti. A Barbiana, dove la realtà tradizionale della struttura parrocchiale era quasi inesistente, si accentua l’identificazione tra sacerdote e maestro. Ma la ricerca e l’indicazione di modalità diverse per la presenza religiosa non modifica in Milani il suo modo di essere prete nella Chiesa, né la sua immagine di Chiesa, identificata in primo luogo con la sua missione salvifica, strettamente legata alla vita sacramentale e alla predicazione della Parola, piuttosto che con la sua struttura gerarchico-istituzionale. Profondamente sentita è la responsabilità verso il «suo» popolo, pur in un atteggiamento profondamente rispettoso delle scelte di coloro che sono lontani. Le sue posizioni relative ad autorità e obbedienza avevano trovato censure frequenti nel nuovo arcivescovo di Firenze, Mons. Ermenegildo Florit. Nei primi anni Sessanta a Firenze, in occasione del processo al primo obiettore cattolico, Giuseppe Gozzini, si crea una solidarietà in più ambiti e lo scolopio Ernesto Balducci viene accusato e subisce un processo per apologia di reato per aver difeso la liceità dell’obiezione di coscienza. In una lettera circolare, scritta insieme a don Bruno Borghi e inviata a tutti i sacerdoti della diocesi, Milani affrontava proprio questi temi, che ricorrono in più occasioni nelle sue lettere. Uno dei testi più significativi è la lettera inviata nel 1959 a Pistelli per «Politica» e non pubblicata allora: Un muro di foglio e d’incenso. Analoga è l’ispirazione della Lettera ai cappellani toscani e poi della Lettera ai giudici, in occasione del processo per apologia di reato per aver difeso l’obiezione.

Il Vangelo vissuto e predicato con estremo rigore divenne per don Milani la chiave di volta per dipanare le intrigate vicende italiane.. Per chiarire la sua posizione, ho ripensato a quanto nel 1950 scriveva a Pipetta, un giovane attivista comunista che pensava fosse dei suoi: «È un caso sai che mi trovi a lottare con te contro i signori. Ma il giorno in cui avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te.Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente [dato che tu allora sarai nei palazzi] a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso» .
Don Milani volle subito incontrare le nuove persone che gli erano state affidate: decine di contadini, montanari, gente povera che viveva ai margini della società e col poco che strappava a un duro lavoro. A quella vista, donò loro tutte le energie e la cultura che possedeva, aprendo una scuola. Era infatti ormai chiara, per lui, questa idea-forza e guida: a causa della povertà non si va a scuola, ma il non andare a scuola genera povertà. A Barbiana l’insegnamento era basato sulla parola, come mezzo per affermare la propria identità e per essere solidali con gli altri uomini e, ancor più che a San Donato, non volle trasmettere ai ragazzi un annuncio religioso, ma un messaggio profetico, il cui fulcro stava nel passaggio dallo stato d’inerzia a quello di libertà, dallo stato di subordinazione a quello di autonomia, ma soprattutto dalla timidezza radicata in quei montanari alla capacità di affrontare il mondo. Concretamente, dunque, don Milani tentò gli esperimenti di avanguardia del regnum Dei prima tra gli operai e i contadini di San Donato, proprio quando, colmata l’ignoranza che li estraniava dal resto della società civile, prendevano coscienza del loro valore di uomini; e poi nella sperduta canonica di Barbiana, in mezzo a un gruppetto di bambini che, divenuti famiglia accogliente in una scuola non discriminata, imparavano un sapere globale, tipico dell’umanesimo integrale cristiano, e preparavano così un futuro migliore: per sé e per la polis. Molta stampa cattolica all’epoca stroncò il libro anche quella che oggi ha completamente ribaltato il proprio giudizio. Ad esempio “Civiltà Cattolica”, con l’articolo di padre Perego del 20 settembre 1958, fu feroce contro il libro arrivando ad affermare che “ad ogni pagina o quasi c’è qualcosa di acido, di stonato, di controproducente. […] all’autore del presente libro ci sia permesso di augurargli anche come riparazione del gran male che la sua opera certamente farà a tante anime inquiete e poco formate, di poter scrivere come si conviene ad un sacerdote di Cristo”.
Vi sono tuttavia, nella storia della Chiesa, correnti sotterranee che periodicamente riemergono, come silenziosi fiumi carsici. Qui sostando sull’opera e la figura di don Milani il pensiero va al grande disegno riformatore proposto da Rosmini in “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa” che non a caso a partire dal Concilio ha conosciuto una rinnovata fortuna. Il tema della “Chiesa dei poveri” presenta una singolare attualità pur in un contesto profondamente mutato dall’epoca in cui le idee rosminiane sulla povertà della Chiesa vennero formulate. Le foto di e su Barbiana sono state fatte da Marisa Ignesti.

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